LE RELAZIONI INTERNAZIONALI E LA POLITICA ESTERA DI UNA MEDIA POTENZA
di Dagoberto Husayn Bellucci
“Per capire gli avvenimenti occorre sapere quali questioni siano risolte da un mutamento di “potenza”; che poi questo mutamento sia di natura “puramente” economica, oppure extra economica (per esempio militare), ciò, in sè, è questione secondaria.”
(Lenin)
“Ogni nostra azione è un grido di guerra contro l’imperialismo, è un appello vibrante all’unità dei popoli contro il grande nemico dei popoli: gli Stati Uniti d’America. In qualunque luogo ci sorprenda la morte, che sia la benvenuta, purché il nostro grido di guerra giunga a un orecchio ricettivo, e purché un’altra mano si tenda per impugnare le nostre armi e altri uomini si apprestino a intonare canti di morte con il crepitio delle mitragliatrici e nuove grida di guerra e di vittoria.”
( Ernesto “Che” Guevara: “Creare due, tre, molti Vietnam” )
La società contemporanea, amalgama deteriore di ‘fascinazioni’ post-
nichiliste e assurde elucubrazioni sociologico moralistiche (…la morale di che?…ma vediamo di non ‘raccontarcela’…), annaspando a tentoni nel panorama
desolante di filosofie da “dopo di me il diluvio” ripete quotidianamente errori e
orrori sfornando, dalle cronache di nera a quelle ‘rosa’, a ruota libera un insieme
di soggetti depauperizzati nell’anima e castrati nelle coscienze che, oltre a
‘deambulare’ belando qua e là alla ‘cerca’ del nulla, pretenderebbero pure
di esser presi sul serio…
Lasciamo volentieri ai ‘posteri’ l’ardua sentenza….se qualcuno vuol
‘commentare’ si ‘accomodi’….c’è poco da ‘commentare’: la tragicommedia
nazionale del pacioso ‘ovile’ tricolore, metafora che invera una direzione
di ‘marcia’ del pecorume conformista allineato burattinamente con far sommesso dietro ai ‘pifferai’ più o meno ‘magici’ della politica italiola, è lì,
davanti a chiunque, palesemente e sbracatamente aperta a qualunque evenienza…irresponsabilmente incapace di mutare le sue forme e la natura di quella che
è oramai la miglior rappresentazione del capitalismo/consumismo ovvero
‘barattamento’ di cose, ‘casi’ (umani e non), anime, coscienze, corpi, idee,
identità….Siamo in pieno delirio da onni-impotenza! Tant’è questa
situazione perdurerà per parecchi ‘annetti’ ancora quindi…mettetevi il cuore in pace idealisti d’ogni razza e colore e preparate un giaciglio dove rifugiarvi per
un meritato letargo.
Una situazione irreversibile quella ‘raggiunta’: traguardi di imbecillità
allo stato puro ‘superati’ con ‘agilità’ da protagonisti e ‘spalle’, comparse e
figuranti comprese, nel teatrino dell’assurdo di questa ‘commedia’
all’italiana che si ripete stancante ormai da tempo immemorabile. Ma fossero solo questi i problemi all’ordine del giorno andremmo ancora bene: in mezzo, oltre ai
soliti morti ammazzati (…morti ‘bianche’, morti’ accidentali, morti assassinati
senza neanche più un plausibile motivo, morti che affiorano dalle pagine dei
quotidiani e una tantum fan capolino nei notiziari televisivi…), abbiamo
criminalità organizzata e diffusa a macchia di pantera oramai ovunque,
violenza gratuita che ormai è talmente ‘consueta’ da non far più notizia (…salvo
non ci arrivi un Vespa a costruirci il ‘caso’ dell’anno…), piroette e
contorsioni d’ogni genere per intrallazzi e speculazioni ritenuti altrettanto ordinari
in un paese dove tutto si compra, si vende, si scambia (…la patria dello
‘scambismo’…), sprofondamento etico ed esistenziale di una umanità
costretta ad ‘adeguarsi’, politiche sociali irreversibilmente incancrenite da una
situazione involutiva che ha spazzato via qualunque miraggio di un posto
“fisso”, crisi economiche strutturali di un tessuto sociale frantumato dal
neoliberismo delle leggi Biagi che ha disintegrato le basi stesse dello
stato sociale e emarginato il ruolo d’intervento e contrasto dei sindacati
(praticamente ‘accucciatisi’ buoni buoni alla ‘corte’ di padron Silvio…
anche la CGIL oramai fa quel che può…e lo fa anche male peraltro…) realizzando
il ‘miracolo’ di un modello di sviluppo talmente ‘flessibile’ che oramai parlar
di precariato diffuso e generalizzato è alquanto ironico…siamo arrivati al
punto di non ritorno di una situazione che non lascia scampo alle giovani
generazioni e mortifica qualsivoglia prospettiva di ripresa….Questa, in sintesi, la
situazione dell'”azienda Italia”….azienda in crisi, d’esubero e di idee,
che tende a mantenersi a galla esclusivamente attraverso il compromesso tra i
capitalismi ‘rampanti’ asiatico-orientali (…i neocapitalisti di Russia,
India, Cina e i sempeterni nipponici più che ‘bussare alle porte’ ormai han
messo ‘radici’ appollaiandosi belli carichi nel ‘cortile’ italico ed
europeo…) quelli sclerotizzati del Vecchio Continente e quello
statunitense che, piaccia o meno, rimane il solo motore capace di far ripartire la
macchina inceppata dell’economia mondiale.
La dipendenza, o per esser più precisi, l’interdipendenza tra i diversi
capitalismi sovranazionali ha creato le condizioni per una larga escalation
di transazioni finanziarie fittizie e bolle speculative pescecanesche che hanno
accelerato i tempi d’emersione delle insufficienze strutturali sulla quale
si basava quella tanto declamata e decantata “new economy” di cui tessevano le
lodi tutti gli economisti nel decennio Novanta.
E’ qui il caso di esaminare la geopolitica italiana considerando
preliminarmente cosa s’intenda con il termine “geopolitica”. Geopolitica è
un sistema, un metodo, una scienza di analisi che individua, identifica e
ricerca i fenomeni conflittuali, le tendenze dicotomiche e le strategie offensive e
difensive della politica internazionale incentrate sul possesso di un
determinato territorio sotto il triplice specchio di quelle che sono
l’influenza dell’ambiente geografico (fisico e umano), delle argomentazioni
politiche e/o ideologiche dei contendenti e delle trasformazioni o linee di
tendenza globali. Un simile strumento – perchè tale deve considerarsi la
geopolitica (mezzo e non fine) – potrà sostenere rivendicazioni a carattere
territoriale, linee di sviluppo industriali e commerciali, politiche
economiche, espansionismo e imperialismo delle nazioni. Sia chiaro comunque
che quando si parla di geopolitica si intende essenzialmente la
contrapposizione, rivalità e dicotomia tra Stati e/o forze politiche
organizzate su un territorio: è il ‘limes’ che disegna i conflitti e sono le
caratteristiche dei singoli Poteri in lotta che determinano la dimensione
del conflitto.
L’analisi della politica “estera” italiana delineatasi in contemporanea con
la prima guerra mondialista per il petrolio scatenata nel 1991 da Washington
per varare il progetto di “Nuovo Ordine Mondiale” nella cui “entrata” anticipò
con gaudio e malcelata soddisfazione l’allora presidente statunitense Bush deve
dunque procedere da questa valutazione di ordine geopolitico, strategico e –
non ultimo – economico al quale potranno sommarsi altre componenti (la
storia, la cultura, la tradizione) che sono le argomentazioni secondarie – siano
esse di tipo cartografico, ideologico o sentimentale – determinanti evoluzioni o
involuzioni delle prospettive di espansione o contrazione del ‘peso’
specifico nazionale complessivo dei diversi fattori .
La nostra politica estera per il post-Guerra Fredda sarà anticipata, a
livello politico, dalla proposta – presentata dall’allora ministro della Difesa on.
Virgilio Rognoni – sul “nuovo modello di difesa” che rappresentò per il
paese il passaggio – o per esser più chiari il punto di non ritorno – da una
condizione di “accettazione maltollerata” del nostro paese all’interno dei
meccanismi di difesa NATO ad una di organica collaborazione fondata
sull’evoluzione in senso ‘bellicistico-interventista’ che – da quel momento
in avanti – caratterizzerà sempre più il ruolo italiano interno
all’organizzazione atlantica: da una condizione di paria e “bulgari” della NATO gli italiani venivano ‘promossi’ a pieni voti e il paese assumeva la funzione – che
geopoliticamente peraltro le era propria – di perno del sistema difensivo
atlantista nel quadrante geostrategico mediterraneo o, per dirla con i
documenti presentati dall’esecutivo italiano (“Libro Bianco della Difesa del
1985”), a “recepire in toto (…) le indicazioni della strategia militare
NATO”. Con questa assunzione di responsabilità piena il governo di Roma
diventava “adulto” per operare con missioni all’estero andando ad
assecondare una politica imperialista e sostenendo le nuove forme di belligerante
ricatto planetario yankee che assumerà il dopo-Guerra Fredda: interventi di “polizia
internazionale”, “missioni umanitarie”, “partnership strategiche” o attività
di “peacekeaping” saranno le ‘formulette’ massmediatiche con le quali l’Italia
si appresterà a seguire, come un cagnolino addomesticato al laccio del padrone,
l’avventurismo guerrafondaio “made in USA”.
E’ interessante notare come il progetto per il nuovo modello di difesa
italiano venne all’epoca ‘rappresentato’ quale necessità basilare della
nostra politica estera e di difesa “conformemente” agli obiettivi di “tutelare”
quelli che dovevano essere i nostri “interessi nazionali”. Tali alchimie
dialettiche utilizzate nei documenti presentati all’epoca dai vertici politici
democristiani e socialisti per il rinnovamento (…si apprestavano a
‘rifarsi’ il maquillage…) delle nostre forze armate rispondevano in realtà a quelle
linee guida della politica estera neo-imperialista di Washington e
recepivano la stessa filosofia che muoveva il pensiero bellicista statunitense per il
quale gli interessi nazionali americani venivano definiti “intercambiabili,
come guida della politica mondiale dello Stato, con i “valori fondamentali”
e con i “valori e gli ideali” dei padri fondatori….” ( Rapporto del National
Security Strategy – I nostri interessi ed obiettivi negli anni 90). Ancor
più chiaramente, ad una prima lettura di quella proposta di revisione del
potenziale offensivo delle nostre forze armate, venivano a evidenziarsi la
realtà e la funzionalità di quelli che eufemisticamente vennero definiti
come “nostri interessi nazionali” come, nè più nè meno, un programma di
modernizzazione volto alla più vasta “difesa” degli interessi
“dell’Occidente”. Occidente che, fuor di metafora, deve intendersi come
sistema di sfruttamento capitalistico su basi plutocratiche nella forma
quanto nella sostanza subliminato dall’American way of life e da un consumismo fine
a sè stesso che può permettersi bellamente – come accade in America appunto –
di ‘bruciare’ intere produzioni (si pensi a quella cerealicola yankee) che, da
sole, potrebbero benissimo essere utilizzate per sfamare intere nazioni
dell’Africa, dell’America Latina o dell’Asia….Le radici del capitale,
senza scomodare Marx e ‘sinistri’ di ogni ‘risma, sono essenzialmente quelle del
processo di sviluppo degenerato in una produzione per la produzione,
nell’accumulazione di risorse e capitali, nella logica del profitto e del
plusvalore, nell’esportazione lucrativo-commercial-usurocratica di mezzi
tecnologici, merci e prodotti di consumo dai quali il capitalista ottiene un
surplus di interessi…
Ci occuperemo, quando sarà il momento, anche della teoria marxista delle
relazioni internazionali secondo cui tutto ciò che viene concepito
comunemente dalle scuole di dottrina geopolitica nazionali deve rientrare nella visione economicistica e materialista che fa da sovrastruttura del pensiero
deterministico tipico del “socialismo scientifico”. La teoria in questione
ripropone uno schema abbondantemente collaudato dai mestatori di idee
marxisti secondo il quale ad una legge ineguale di sviluppo del sistema capitalistico
corrisponde la determinazione di una dinamica di pluralità di potenze e poli
di potere i quali – per loro caratteristiche precipue – saranno
nell’impossibilità di mantenere durature le alleanze e quindi si modificheranno provocando situazioni internazionali complesse di equilibrio/squilibrio conformemente alla ideologia leninista per cui le forme e lo sviluppo della lotta tra
Stati capitalistici mutano continuamente mentre ciò che rimane immutabile – per il
fondatore dell’URSS e principale teorico della prassi rivoluzionaria
applicazione dello ‘scientismo’ marxista – è il concetto di “lotta di
classe” che Lenin intende come lotta economica per la spartizione del mondo. Per il
marxismo la dinamica delle relazioni internazionali poggia essenzialmente
sulla dinamica di sviluppo economico e politico in quanto già lo stesso Lenin
aveva sostenuto, in occasione del Congresso della Sinistra di Zimmerwald nel 1915,
che “tutto il mondo si fonde in un unico organismo economico. Tutto il mondo
è diviso fra un pugno di grandi potenze” (1) contro le quali, al proletariato
mondiale non restava altro che dichiarare guerra aperta. Ritorneremo
compiutamente sull’analisi delle linee generali della teoria marxista delle
relazioni internazionali.
La politica estera di uno Stato, non da oggi ma particolarmente nell’epoca
presente ossia in piena globalizzazione dei mercati, dovrà inevitabilmente
rappresentare quelli che sono gli interessi capitalistici delle imprese
“nazionali” che traghetteranno/esporteranno i loro prodotti nell’One World ,
mondo unidimensionale e paradiso delle contrattazioni multinazionali
dell’alta finanza, realizzando profitti attraverso i quali continueranno ad alimentare
la loro capacità di sviluppo costituendo la principale valvola di sfogo per le
politiche economiche interne. Questa situazione si ricollega alle linee
programmatiche nazionali di politica estera tracciate fin dalla metà anni
Ottanta ed attivatesi con la prima guerra mondialista per il petrolio.
L’Italia, perfettamente inserita nel sistema difensivo NATO e responsabile
assieme alla Turchia del ‘fianco meridionale’ del continente europeo,
risulterà quindi una base fondamentale per gli interessi strategici e le volontà
egemoniche statunitensi di espansione verso sud/est come dimostreranno le
successive guerre di aggressione condotte dall’amministrazione USA contro
Serbia, Afghanistan ed Irak.
Il ruolo dunque italiano è subordinato alle strategie d’espansione del
capitalismo, del proprio come di quello della nazione – gli Stati Uniti –
che detengono le chiavi della sovranità nazionale e con esse qualunque ipotesi
di reale autonomia economica e politica del “belpaese”, colonia yankee oramai
da oltre sessant’anni, per il quale risulterà necessario un approccio
“pragmatico” in relazione a quelle che saranno le sfide presenti e future di un’economia sempre più globalizzata e rispetto ad una politica internazionale che offre scenari in profonda trasformazione. Ecco quindi comprensibile la valutazione
e l’analisi della situazione relativa al ruolo internazionale dell’Italia così
come presentata a metà anni Ottanta nel “modello di Difesa” che attuava
direttive d’ispirazione atlantico-statunitense incanalandole all’interno
della tradizionale geopolitica italiana: “La politica di sicurezza italiana ha
storicamente presentato una dimensione bivalente – continentale e
mediterranea – con l’enfasi posta ora sull’una ora sull’altra al variare dello scenario
internazionale, del contesto delle alleanze e degli obiettivi perseguiti. Se
la preminenza della dimensione continentale risale fin agli albori della
formazione dello Stato unitario, il consolidamento di quest’ultimo e
l’aprirsi dell’Italia verso l’esterno – con la conseguente attenzione rivolta al
bacino meridionale ed ai Paesi del litorale nord-africano – hanno condotto la
dimensione mediterranea a divenire anch’essa fattore permanente della nostra
politica di sicurezza. D’altronde il carattere bivalente della nostra
collocazione strategica è naturale conseguenza della posizione geografica
del nostro paese. Da un lato, infatti, esso si configura quale settore
meridionale dell’Europa continentale, alla quale è strettamente connesso da vincoli
storici e culturali, nonchè in misura crescente da legami comerciali e industriali.
Rappresenta lo sbocco al mare delle Nazioni alpine e l’accesso da sud verso
la Mittel-Europa. Costituisce una componente naturale dell’Europa occidentale
e, nel contempo, apre le sue porte orientali verso l’area balcanico-danubiana,
ove la strutturazione politica ed economica è ancora “in fieri” ed ancora
storicamente accompagnata da fermenti, tensioni ed interne instabilità e
conflittualità. D’altro la Penisola rappresenta elemento centrale dell’area
geo-strategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al
Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d’Africa e il
Golfo persico. (…) Il profilo geo-strategico italiano è anche determinato
dalla natura e dalla vastità degli interessi economici e dall’estensione dei
commerci. L’Italia è carente di materie prime, è sostanzialmente Paese
manifatturiero che fonda la sua struttura produttiva ed il suo benessere
economico sulla trasformazione e sul relativo flusso import-export.
Nell’ambito di tale realtà, assumono elevato rilievo da un lato gli importanti legami
industriali e commerciali con l’Europa continentale, dal’altro la dipendenza
dell’Italia dall’importazione di materie prime strategiche; in particolare
risorse energetiche e prodotti minerali: le prime largamente concentrate
nell’area del Golfo persico, i secondi prevalentemente provenienti da alcuni
Paesi del continente africano. Da ciò dipende, tra l’altro, la significativa
vulnerabilità strategica dell’Italia nei settori dell’interscambio
commerciale e dell’approvvigionamento petrolifero.” (2)
Una simile prospettiva era, del resto, venutasi a palesare con maggior
urgenza (per quanto riguardava i ritardi ‘cronici’ delle nostre forze armate in
fatto di tecnologie e armamenti) con lo spostamento dell’asse della politica
estera statunitense all’indomani della cosiddetta “guerra fredda”: l’America
reaganiana trionfante nei confronti del blocco comunista dell’Europa
Orientale andava riordinando la propria dimensione – apprestandosi a diventare unica
superpotenza globale – e le proprie mire strategiche con il riassetto del
suo baricentro militare e strategico verso il sud del Mediterraneo e l’area del
Vicino Oriente contro la quale avrebbe dirette le sue future campagne
militari a difesa degli interessi della plutocrazia mondialista.
Anche le forze armate ‘tricolori’ si apprestavano ad una poderosa opera di
‘revisione’: il ruolo geostrategico, politico ed economico italiano diveniva
determinante e funzionale – nell’ottica del nuovo ordine mondiale a guida
USA – per sostenere la macchina bellica americana ‘puntata’ verso il sud del
Mediterraneo e diretta contro le nazioni e, più vastamente, contro l’intero
mondo islamico. ‘Scoperto’ il “nemico” di turno l’America si preparava a
sostenere la sua leadership mondiale con una strategia di contenimento delle
spinte e delle pulsioni provenienti dall’area vicino-orientale e mediante
l’esportazione manu militari della “democrazia” per la costituzione di
un’area ‘franca’ di interscambi commerciali (il “Nuovo Medio Oriente” del quale
diffusamente parlarono i centri studi strategici e la Rand Corporation
all’indomani dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001) che, con
“Israele” quale gendarme regionale, e al lato di quei paesi arabi
“moderati” (Egitto, Giordania, Arabia Saudita e petrolmonarchie del Golfo) avrebbe
facilitato l’israelizzazione dell’intera regione che, più o meno
conseguentemente, sarebbe diventata la punta di lancio per una
“americanizzazione” e “occidentalizzazione” del blocco vicino-orientale.
“Nel quadro della concezione di un mondo diviso tra un Nord tendenzialmente
pacifico e un Sud tendenzialmente turbolento – scrivevano i vertici del
Ministero italiano della Difesa agli inizi dei Novanta -, il documento
focalizzava l’attenzione sulla “frontiera meridionale” che separa l’Europa
“in evoluzione verso un futuro più stabile”, dall’area comprendente il Medio
Oriente e il Nord Africa percorsa da una “linea di instabilità e di rischio
che si estende dal bacino del Mediterraneo al Golfo persico”.
E’ in questo contesto che, finita la contrapposizione Est-Ovest, veniva
delineandosi un nuovo rapporto tra mondo arabo-islamico ed Europa
occidentale il quale assumeva “un suo autonomo ruolo” e si andava configurando – come recitava il documento in questione – come “più generale confronto tra una
realtà culturale ancorata alla matrice islamica ed i modelli di sviluppo del
mondo occidentale”, nel cui contesto il conflitto arabo-israeliano
rappresentava “un’emblematica chiave interpretativa del rapporto Islam-
Occidente”.
Indipendentemente da quali saranno in futuro i lineamenti della geopolitica
italiana, la quale continuerà ancora ad essere subordinata a quella
statunitense (la scelta di campo atlantista è irreversibile fintanto che
avremo una politica continentale incapace di sganciarsi dai diktat e dalle
pressioni di Washington), constatiamo che questa si muoverà sulle linee direttive
tracciate dalle sue necessità economico-commerciali ossia gli interessi
capitalistici della società consumistica italiana.
Anche volendo tracciare in questo contesto un futuro per gli orizzonti
geopolitici nazionali risulterebbe oltremodo prematura qualsiasi
considerazione che non tenesse nel dovuto rispetto le linee di espansione del capitalismo nazionale e la sua posizione subalterna agli interessi americani: la
riconsiderazione in termini geopolitici dei nostri interessi nazionali, che
erano stati rimossi assieme al concetto stesso di nazione durante il periodo
della cosiddetta Prima Repubblica, dovranno accompagnarsi ad una nuova fase
di rinascita e rinnovamento nazionali dei quali, sia detto per inciso, non
s’intravedono all’orizzonte neppur le ombre… Anche le cosiddette aperture
ai paesi fornitori di materie prime (si chiamino Russia o Arabia Saudita, Libia
o Iran) sono palesemente compresse e ridimensionate dalla politica filo-
statunitense che innegabilmente va a restringere l’autonomia e una eventuale
indipendenza sulle decisioni che ‘contano’….
Questa mancanza di autonomia e indipendenza riduce da decenni – in maniera
evidente per chiunque non si accontenti di joint-venture e partecipazioni a
rimorchio o dell’accattonaggio commerciale di seconda mano (tipico peraltro
dell’azione ‘estera’ dei politicanti italioti dal 2.o dopoguerra mondiale ai
giorni nostri) prerogativa di quello che rimane un capitalismo provinciale e
straccione – il ruolo geopolitico e strategico dell’Italia chiamata, nel
prossimo futuro, a continuare ad esercitare la propria funzione di “utile
idiota” dell’imperialismo statunitense….
Avremo comunque senz’altro occasione per analizzare compiutamente e
diffusamente quelle che sono le dinamiche della politica estera italiana in
funzione dei propri interessi capitalistici e in rapporto con i capitalismi
stranieri. Il tempo non ci manca.
DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI
24 GIUGNO 2010
NOTE –
1) Lenin – “Progetto di Risoluzione della Sinistra di Zimmerwald” 1915;
2) – “La collocazione geo-strategica dell’Italia e degli interessi vitali,
gli obiettivi di fondo della politica di sicurezza nazionale” – (“Rapporto
Modello di Difesa/ Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni 90” – A
cura del Ministero della Difesa Italiano – Ottobre 1991);